"Stare vicino alle vittime vuol dire far sentire anche una vicinanza fisica, stare accanto nel senso letterale del termine. E' quello che facciamo quando, oltre ad accogliere il grido di aiuto di chi è vittima di usura, oltre all'accompagnamento alla denuncia e al reinserimento sociale, decidiamo di costituirci parte civile dei processi che nascono proprio grazie a quelle denunce".

E' una mattina grigia che promette pioggia. Don Marcello Cozzi, presidente della Fondazione Nazionale Antiusura "Interesse Uomo" onlus percorre al contrario le tappe della carovana antiracket e antiusura del progetto Economie di libertà in Calabria. Cassano all'Ionio, Cetraro, Amantea, Limbadi, Vibo Valentia. Sulla strada c'è Lamezia Terme. Ad un certo punto la segnaletica sull'autostrada si fa insistente, uno, due, quattro cartelli: "aula bunker". Si svolta. Davanti al capannone dismesso, da mesi e per mesi si svolge quello che attualmente è il processo più importante d'Italia. "Rinascita Scott", lo scacco alla 'ndrangheta di Nicola Gratteri.

Un processo imponente, dove tutto è grande: il numero degli imputati, quello dei testimoni, le aspettative. Qui si riesce a capire, anche in maniera plastica, come si muove la macchina della Giustizia, la presenza dello Stato in maniera massiccia.

Esponenti di spicco del clan Mancuso e altre 'ndrine satelliti della zona del vibonese ma anche personaggi eccellenti della politica, degli ambienti giudiziari, dell'imprenditoria, tutti coinvolti in questi affari illeciti, a dimostrazione ormai del fatto che ci troviamo dinanzi ad una vera e propria holding del crimine fatta non solo da coppole e lupare, non più circoscritta ai soli confini calabresi e sempre più in intima connessione con il potere massonico.
Negli ultimi anni la Fondazione antiusura ha accompagnato alla denuncia persone che erano rimaste intrappolate da quell'abbraccio mortale e anche le loro dichiarazioni sono risultate essere determinanti per l'esito dell'inchiesta.

"La narrazione, nelle aule di tribunale, cambia - spiega don Marcello Cozzi - e non è più quella in qualche modo filtrata che si legge sui giornali e che, per forza di cose, viene sintetizzata ma è quella reale, completa. Quella che ascolti dalla difesa delle vittime o dalle dichiarazioni dei carnefici. E allora capisci davvero che cosa sia la violenza mafiosa quando, oltre ad ascoltare le parole, vedi il sudore sulla fronte, vedi gli occhi lucidi, vedi il tremore delle mani. Abbiamo ascoltato la testimonianza, importantissima, di Ewelina Pytlarz, cognata di Tita Buccafusca che si confida con Tita e poi racconta, tra le lacrime, la sua storia e quella di Tita, morta ufficialmente per suicidio dopo aver ingerito acido, capisci davvero che cosa vuol dire 'ndrangheta".

~Mariapaola Vergallito

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