Il dovere civico di denunciare. Il coraggio di ricominciare. La speranza di non essere lasciato solo.

Quella di Carmine Zappia è una storia di straordinaria legalità, in una terra bellissima e difficile, Nicotera  nel Vibonese. 
Titolare di una tabaccheria, Zappia, oggi 55enne, finì nella rete estorsiva del clan Mancuso, al quale decise, dopo anni di soprusi, di non piegarsi più. Grazie alla sua denuncia contribuì al rinvio a giudizio per usura e racket dieci persone fra cui il boss 82enne Antonio Mancuso. 
L'incubo comincia nel 2011, con l'acquisto di un immobile per la somma di 400mila euro. «Nella fase contrattuale rimangono scoperti centomila euro da dare al venditore – racconta Zappia a editorialedomani.it – dopo poco si presenta il cognato del boss Antonio Mancuso, riferendo che da quel momento il fabbricato diventava roba del clan, che Mancuso era socio di quell’affare e che i soldi dovevano essere pagati a lui».
Zappia racimola soldi come può, paga cinquemila euro ogni tre mesi che non gli consentono di sanare il debito ma che rappresentano una sorta di ''affitto''. Un'odissea che non sarebbe mai finita se l'imprenditore non avesse trovato il coraggio di denunciare, nel 2019. 
Nel settembre del 2020 trova anche il coraggio di ricominciare, riaprendo la sua tabaccheria. I volontari di Libera, guidati da Giuseppe Borrello che è anche referente dei Prasìdi di Legalità istituiti a Limbadi e a Cetraro nell'ambito del progetto Economie di Libertà,  assieme agli studenti del Dartmouth College di Boston  impegnati nella cornice dei campi di E!State Liberi! sui beni confiscati alla criminalità organizzata, hanno voluto mostrare in maniera tangibile la loro vicinanza al coraggioso imprenditore.
''Vicinanza'': non è scontata, purtroppo, nemmeno dopo il coraggio dimostrato di denunciare e le conferme arrivate da Procure e Tribunali. 
''Quello che manca, però, è la gente del posto- dice Zappia- da questo punto di vista sono stato lasciato solo''. E così al grido di aiuto alle istituzioni si aggiunge l'appello alla comunità: ''è capitato a me, potrebbe capitare a chiunque e in modi diversi- dice. 

La denuncia è fondamentale; altrettanto importante è la convinzione che essa rappresenti il primo passo verso la bellezza della dignità, verso la libertà. E' necessario che si diffonda quella cultura della legalità che si contrapponga alla mentalità mafiosa, alla sottomissione latente, al voltarsi dall'altra parte perchè ''non è affar mio''.

''Oggi le mafie uccidono molto meno rispetto al passato, non ne hanno più bisogno perché per ottenere il medesimo effetto della morte hanno trovato un altro mezzo altrettanto efficace, ma meno rumoroso: l’isolamento, l’annientamento di chi si contrappone all’illegalità ed alla corruzione; più del tritolo uccide la solitudine, l’emarginazione e la delegittimazione- spiega Giuseppe Borrello- Nessuno, nessuno si senta escluso da questa battaglia, quella che si deve combattere a viso aperto stando a fianco delle persone perbene che non a parole, ma con la loro azione quotidiana e incessante, promuovono la legalità. Una vicinanza reale e fattiva, una vicinanza umana dovuta a chi ha deciso da che parte stare: come l'imprenditore Carmine Zappia che, in un territorio come il nostro, ha deciso di investire nel “restare” denunciando e facendo arrestare chi lo estorceva. Con la sua denuncia Zappia ha rivendicato il suo diritto di fare impresa ma ha anche reso più libera un’intera comunità.
Non possiamo lasciarlo solo, dobbiamo dimostrare, anche noi, da che parte stiamo, standogli vicino e sostenendo le sue attività commerciali duramente colpite dall’arroganza ndranghetista''.

Mariapaola Vergallito

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